lunedì 31 ottobre 2011

La Crisi E' Alle Spalle


..ormai sembra un film con Sasha Grey, un bondage di quelli seri, dove oltre ad incularci ci insultano, ci mettono le mani alla gola, ci tirano i capelli, ci sputano in faccia, ci legano mani e piedi, ci strizzano i capezzoli e finito il tutto, pretendono pure il sorriso in camera, con la bocca aperta che si capisce che abbiamo fatto i bravi.

Italia, un produzione Vivid.

L'Attesa

Era seduto ad aspettare sulla cima di quella collina da quasi una settimana.
Aveva dormito pochissimo, e quel poco tempo che passava incosciente era tempestato di flash, cose inquietanti che lo facevano scattare il collo all'improvviso, sbarre gli occhi, per poi farlo ricadere giù ancora più stanco di prima.
Per mangiare, aspettava i suoi amici di sempre: si erano dati il cambio ogni giorno, per portargli l'indispensabile per tirare avanti, anche se fame non ne aveva quasi mai.
La barba, anche se solitamente gli cresceva lentamente e a macchie, sembrava più fitta, crespa, quasi appesantita anche lei dall'ansia dell'attesa.
Non era stato facile per lui crederci, crederci fino al punto di rimanere lassù così tanto e con lo sguardo sempre fisso su quei binari. Si scorgeva un tratto della ferrovia all'orizzonte, a circa un chilometro in linea d'aria, e faceva capolino tra due colline. Se il treno fosse passato, lui l'avrebbe visto, avrebbe saputo.
Avrebbe capito.
Ma la difficoltà stava nel fatto che quel treno non passava sopra quel tratto da anni ormai, tanto che grossi gruppi di edera si cominciavano ad aggrappare con forza alle traversine di legno.
Ma lui ci credeva, sapeva che avrebbe visto quella locomotiva passare per prima, con impeto, sopra quell'edera e strapparla, tagliarla, polverizzarla sempre più al passaggio di ogni singolo vagone, fino al non lasciare nulla che odore di erba appena tagliata ovunque.
Odore di fresco, di nuovo.
Sapeva anche che però, dietro di lui, il mondo continuava mentre era impegnato in altri progetti.
Ne era perfettamente consapevole: qualcosa si stava muovendo, dietro di lui. Forse anche dentro, ma già sentire dei rumori, delle parole essere pronunciate lì dietro, lo faceva distrarre.
E a volte la distrazione era anche piacevole.
Ma no, lui era lì ad aspettare quel treno, avrebbe poggiato l'orecchio a terra pur di sapere con certezza che stava per arrivare.
Avrebbe spinto il treno, avrebbe inclinato la terra, avrebbe fatto qualunque cosa, per poter raggiungere quel vagone, anche in corsa, inciampando e senza respiro.

Rara immagine che mi ritrae in
uno dei pochi momenti di relax
sulla collina.

Però lì dietro, tutto 'sto vociare.. quasi quasi..

[se -metti il nome della divinità che vuoi qui- vuole, sono riuscito a mettere il fottutissimo stramaledetto pulsante "Mi Piace". se lo vedete, testatelo. sennò amen.]

[EDIT: niente, non funziona. affanculo.]

venerdì 28 ottobre 2011

Riflessioni Mattutine Su Rotaie

Sindrome dell'arintuzzacce

Dicesi sindrome dell'arintuzzacce tutta quella serie di episodi volontari e casuali, ma comunque di varia natura, che portano al reiterarsi di situazioni che terminano sempre, in modo negativo, sullo stesso argomento. Il tutto può essere identificato sia durante una conversazione (ed in questo caso l'argomento sarà riconosciuto in un episodio passato), che essere di natura fisica (il continuo colpire, per errore, una parte già lesionata).
Esempi:
- "Eddai che c'arintuzzi co' 'sta storia de Carlo Giuliani."
Riferito ad una situazione in cui il soggetto che formula la frase (da questo momento soggetto A) non si trova d'accordo con il suo interlocutore (soggetto B), il quale ha asserito che sparare ad altezza d'uomo durante dei disordini di piazza è lecito se è in pericolo la propria incolumità;
- "Più me ce scotto, co' 'sta donna, e più c'arintuzzo."
In questo caso il soggetto A lamenta il fatto che, evidentemente, dopo una delusione sentimentale non riferibile a sue colpe continua imperterrito a provare a ristabilire un contatto con la suddetta donna/ragazza, arrivando ogni volta a risultati sempre peggiori;
-"Niente oh, più ce sto attento più c'arintuzzo, su 'sto dito."
Senza dubbio, il soggetto A continua a ricevere colpi sul dito che si è fratturato l'anno precedente, per vedere se una cassetta delle poste in ghisa si sarebbe spostata sotto la minaccia di un pugno. E no, non si è spostata.
Quest'ultimo esempio è facilmente riconducibile al secondo, nel caso in cui, per l'ennesima volta, avete arintuzzato con la vostra partner arrivando infine alla frattura (fisica e relazionale).

Uno che c'arintuzza 'na cifra.


L'arintuzzo: se lo conosci lo eviti.
O almeno ci provi.

Metronomo

Come fare cose brutte rubando immagini ed usando
solo Keynote ed uno screenshot.

Immaginate un metronomo.
Enorme.
Sarà alto come un grattacielo.
Col suo tic va a destra, col tac a sinistra.
Ed i suoi tic, ed i suoi tac, fanno un casino immane.
Insomma col tic va a destra, e a destra c'è il buio, la solitudine, la malinconia.
Invece col tac va a sinistra, e lì c'è luce, compagnia, buonumore.
Quando fa tic, il metronomo, fai pensieri cupi, ti metti lì a rimuginare, a calcolare, a supporre. E non ne cavi nulla.
Al momento del tac, al contrario, sei leggero, sorridente, senza quei pensieri ma solo con la voglia di far qualcosa, qualunque cosa, perché sai che ti riuscirà comunque bene.
Tic: ansia, tachicardia, pessimo umore.
Tac: tranquillità, polmoni pieni d'aria buona, empatia.
Tic, tac, tic, tac.

Insomma, "senza tutta 'sta pippa altro non sono che sbalzi d'umore", direte voi.
"Touchè(ndi dalle stelle)", dirò io.

Il problema è che voi, ora, siete lì sotto col naso all'insù.
Io invece sto aggrappato alla punto di 'sto cazzo di metronomo, e gradirei scendere, onde evitare che v'innaffi con i miei reali succhi gastrici.

giovedì 27 ottobre 2011

No Vabbè..

..che Francesca è una tosta.
E' una inguaribile tenerona, ma se la fai incazzare ti smonta.
In zero.
Le cose non te le manda a dire anzi, se le porta dietro proprio per sbattertele in faccia.
Una che riesce a parlarti tranquillamente di politica partendo da Jovanotti, passando per l'Aquila e concludendo con una serie TV. Ed in mezzo ci parli di un sacco di altre cose, ma tante tante.
E mai che la vedi incespicare.
Quindi, visto che è stata così carina da linkare il mio blog sul suo, ricambio (aggiungendoci queste due righe) il favore: a destra, sotto "Gli Imperdibili", ora c'è anche il suo sito. Che vi consiglio caldamente di leggere.

E se non lo fate, siete brutte genti.

mercoledì 26 ottobre 2011

Post Da Tre Minuti Con Tutto Quello Che Mi Passa Per Il Cervello

..o quasi.



Vino, rosso, passione, rabbia, sabbia, mare, Salento, mamma, Flavio, Insinna, teatro, malinconia, ricordi, dimenticanze, colpa, senso, sesso, umori, rumori, suoni, musica, vita, morte, miracoli, religione, fede, schifo, ripugnante, lontano, treno, nave, Porto, bello, road, Abbey, Beatles, Rolling Stones, mese, ritardo, ansia, anzi, ti dirò, parlare, silenzio, pace, eterna, fine.

[incrociate le dita per me. voi fatelo, poi vi spiego.]

[proprio]

Il Momento Del Coglione

Attore che interpreta alla perfezione personaggi
spesso affetti dal "MdC".
Sei per strada, una ragazza molto carina, di quelle con cui faresti volentieri un aperitivo sulla spiaggia, ascoltandola raccontare dei suoi viaggi in Sudamerica, ti ferma e ti chiede da accendere. Con una mossa che ti riesce una sola volta nella vita, infili la mano in tasca, tiri fuori l'accendino e senza fermarti lo accendi a mezz'aria portando la fiamma, accesa, alla distanza perfetta dalla sigaretta. In tutto ciò, era uno Zipper, che hanno la rotellina squadrata.
Applausi.
Stupita, ti guarda con lo sguardo di chi è molto vicina all'orgasmo grazie alla tua capacità di infiammarle a distanza il punto G, e ti chiede dove stai andando.
A me, in questi casi (che mi succedono con la stessa frequenza con la quale i fulmini cadono due volte nello stesso punto), accadono due cose:
- o in bocca mi si forma il Das misto a polpettone avanzato e mi si arrossano le guance tipo un vicentino alla sagra della castagna;
- o penso che si, l'aperitivo ed il Sudamerica, poi però ci sarebbe la cena vegetariana, il letto giapponese, i suoi amici che parlano solo di Gramsci e volàno, i parenti cattolici e stronzi, un affitto in due, i dischi in due, i film in due. Alt, troppo in troppo poco tempo.
Quindi, all'ipotetica domanda della mia futura ex ragazza che mi chiede:
-Dove vai?-
risponderei:
-Di là-, indicando un punto a caso con la stessa, flemmatica foga con cui sporgi il braccio per chiamare l'autobus, e con la stessa faccia da cazzo che ha l'autista che ti carica.
Lei, ringraziandoti, scappa via urlando dalla paura e blaterando cose che forse che scelga tra uomini e donne.

Abbiamo presentato il cosiddetto "Momento del Coglione", in campo scientifico è conosciuto anche come  "MdC".

Uno che di "MdC", ne sta facendo uno stile di vita.
E dire che ci stavamo quasi per credere, in una faccia così.
Che poi l'ho messo giù in modo simpatico, ma qui c'è poco da ridere.
Che la famosa settimana è iniziata, e devo dire pure molto bene.
Ho interagito come una persona normale, ho fatto cose fatte bene, ho shakerato  alla perfezione parole e gesti, creando un buon cocktail di socialità.

Poi capita che mentre sei impegnato a far andare tutto bene, fai una cosa che non può avere, per forza di cose, una reazione immediata. Devi aspettare, punto.
Nel frattempo fai un'altra cosa, senza voler sbagliare, ma che mentre la fai senti in cuor tuo che magari farti un sett'etti di cazzi tuoi sarebbe la cosa migliore, perché sai che una reazione ci sarà.
E infatti, la reazione arriva.

E sarebbero stati di gran lunga meglio i sett'etti.

domenica 23 ottobre 2011

La Settimana Enigmatica



Mi ricordo che uno dei miei giochi preferiti, sulla Settimana Enigmistica, è sempre stato "Il Bersaglio".
Parti da una parola all'esterno, e la colleghi ad un'altra, magari per anagramma, significato, opposto, togliendo o aggiungendo delle lettere.
Insomma, di base è un gioco ad incastri, a domino.
Azzecchi la prima, studi un po' le altre, trovi la seguente, e piano piano è tutto sempre più facile.
Ecco, la settimana che inizia domani sarà un po' così, con l'aggiunta del fattore umano.
Si perché un conto è arrivare al passo successivo seguendo una logica inattaccabile: quella è la parola iniziale, una sola la può seguire, a sua volta questa può essere seguita solo da un'altra.. e così via.
Un conto, invece, è dover affrontare tre possibili situazioni:
- far seguire parole giuste dopo e prima di altre parole altrettanto giuste, ovvero fare un discorso coerente avendo di fronte un'altra persona, che interagisce;
- agire in un certo modo e dover attendere una reazione, per capire quale azione intraprendere di conseguenza;
- dover combinare parole e gesti in un unico conteste, alternandoli e calibrandoli nel modo giusto.
In una sola parola, interagire.
Ma 'sta settimana s'interagisce serio, con parole che diventano serie e gravi, e gesti che potrebbero tracciare linee definitive, situazioni che potrebbero cambiare un bel po' di te, e del tuo rapportarti col prossimo.
Io sono tranquillo, perché so cosa voglio.
O almeno ci credo fortemente, come non facevo da un po'.
E questo mi pareggia col mondo, parto con handicap zero e sulla stessa linea di tutti gli altri.
Ma soprattutto, sono pronto alla sconfitta, su uno o più fronti.
Non che la cosa la prenda alla leggera, ma di sicuro è compresa nel risultato finale.
So che è lì, l'agghiacciante e paralizzante mostro della sconfitta, pronto a ghermirmi ancora, il suo svuotarmi di tutto per riempirmi di frasi tristi e sguardi vacui è ormai routine, per fare di me un piccolo uomo depresso dalla vita.
Ma 'sto giro so come affrontarlo, e magari anche ucciderlo per farlo rinascere, com un alba serena dopo una notte d'inferno.

Speriamo che, almeno le cose a cui tengo di più, vadano in Porto.

[nuova grafica. visto che non rispondete mai, lettori ingrati ma curiosi, prenderò il vostro silenzio come un "oh mio dio è minimal al punto giusto".]

sabato 22 ottobre 2011

Outdoor Post

Sarà che Roma di notte, da soli, ti rende più malinconico. Sarà che con la testa proprio non ci stai, 'sti giorni. Sarà che tutta 'sta gente proprio un cazzo da fà. Sarà che da solo io non ci so stare, ma mi piace, è solo questione di abitudine.
Vorrei solo riempirlo, 'sto vuoto inside.
Tutto questo spazio dentro va riempito, ma per la prima volta in vita mia non ho fretta. Mi prendo il mio tempo. Ho fatto il part time per troppo tempo con me stesso, è ora del full.
Io non ho fretta, non questa volta.
Aspetterò senza attendere. Perché aspettare è un conto, attendere è uno strazio.
Sono seduto a questo tavolino, un rosso in mano e San Cosimato davanti. Quasi mi aspetto di veder passare Lei.
E invece no.
Solo, con oggetti in mano che non valgono un millesimo rispetto a quello che vorrei stringere forte, da imbiancare le nocche e far sudare i palmi. Da non crederci.
E invece sto un'altra volta qui.
Solo.

Primo e sicuramente non ultimo post scritto dal mio nuovo, fiammante iPod.
Che ad avere il WiFi ve lo sparavo, ma tanto state in giro a non pensare. Quindi chi sono io per distrarvi?
Buona serata, anche se sarà già finita.

giovedì 20 ottobre 2011

È Stata Una Gran Giornata


In realtà, non è stata una gran giornata, ma chi capisce cazzi di film, intenderà.
Oggi non è stata una giornata.
Punto.
Nulla ho fatto, nulla ho ottenuto.
Ma a parte questo, non voglio dilungarmi che ho un finale di stagione di Fringe che mi aspetta, e di certo non perdo tempo con voi.
Ma questa è stata strana.
Poco fa, dopo un pasto veloce a base di prosciutto, grissini, tonno ed una banana che di banana aveva giusto la forma, visto sbucciandola avevo l'impressione di stuzzicare il pisello di Obama (c'ho pure aggiunto la Nutella. Se mettevo Barry White di sottofondo, vincevo il pistone d'oro), e insomma, dopo aver fatto una sega presidenziale al frutto, mi sbraco sul divano e mi metto a vedere "Piazza Pulita", quello presentato dal sosia dello scienziato pazzo dei Simpsons, il Professor Frink. O almeno mi ci fa pensare.
Vabbè, insomma, ero seduto su quel fottuto divano quando, da brava persona nata morta, mi addormento.
Tac.
Di botto.
Il sottofondo delle parole del Professor Frink si mischiano con quelle del servizio successivo su Sabato, con le sirene e tutto.
Poi, non chiedetemi che cazzo di sinapsi ho, fatto sta che faccio un micro sogno:

sono dentro la mia camera, probabilmente nello stesso momento in cui sto anche dormendo sul divano. Ho una videocamera, guardo nello schermo digitale. Non so cosa sto riprendendo, ma so che sono solo. Giro per la mia stanza  mettendo avanti questa camera digitale, una camera nella camera.
[no non c'entra nulla, mi faceva ridere]
Insomma, dopo qualche secondo passato a riprendere il mio letto, i miei poster, le decine di dvd, le action figures di Lost, comincio ad indietreggiare verso la porta aperta.
Ribadisco, sono solo.
Mentre cammino lentamente all'indietro, sfilo con calma la mano dalla fascetta della videocamera in cui era saldamente ancorata, con l'altra mano la ruoto di centottanta gradi, come per inquadrarmi.
Mentre la giro, con la mano ormai libera dalla fascetta ruoto lo schermo per vedermi mentre mi inquadro.
Appena poggio lo sguardo sullo schermo, dalle mie spalle spunta Lei.
È appena uscita dalla doccia, ha i capelli ancora bagnati ed un enorme asciugamano bianco la copre da poco sopra il seno fino alle ginocchia.
Sorride, sorride con tutto il corpo.
-Ma ciao!!-, dice con la sua cadenza da farti sciogliere.
Per essere sicuro, distolgo lo sguardo per essere sicuro che Lei sia davvero lì.
E faccio appena in tempo a guardarla negli occhi, a sentire il suo respiro fresco in faccia ed il calore della doccia ancora sulla sua pelle, che vaffanculo mi son svegliato.
Ovviamente.
Frink blaterava ancora qualcosa, il mio cuore batteva ben più forte del normale.
Ho sbarrato gli occhi, e son venuto qui a scrivere.

Fine.

[Corrado Formigli, quello che ha litigato con La Russa. E pure con Santoro, a quanto pare.]

[ah, scusate, ma parlo del mio blog. sulla destra, c'è la colonnina dei followers da Facebook. magari, una cliccatina.. e non dite che vi vergognate, che tra i vostri likes c'è Michael Jackson e True Blood. su, dai su!!]

Il Paese È Reale.


Appena fa due gocce, a Roma, la gente impazzisce: metro chiuse, traffico a bomba, ritardi nei trasporti, indiani che spuntano dai tombini eccheccazzo, ancora non si sono imparati a dire ombrello come si deve.
A Roma, quando piove, eviti per tutto il tempo le buche così piene d'acqua che dentro potrebbe esserci Atlantide, poi per dire "No, grazie" col tuo sorriso più gentile all'indianino che ti chiede "mblela?" entri paro nella cinquanta metri del Foro Italico.
A Roma, quando piove, le metro chiudono. Ovvio, tu vai sotto proprio per evitare di prendere tutto l'acqua che il Signore ha in serbo per te, ma l'acqua, grazie ai sistemi di filtraggio delle metro che probabilmente son stati progettati dalla stessa azienda che ha fatto la diga del Vajont, arriva anche lì e, ma guarda un po', i treni si fermano. Sembra che cavi elettrici ed acqua non vadano d'accordo.

"Ho capito, ma una pioggia così..."
Si, non si vedeva da.
Sai da quando non si vedeva? Dall'ultima volta che ha piovuto!!
Ahahahaha [risata ironica alla Bill Hicks]
Il problema, a Roma, non è la pioggia. Non è la neve. Non è il vento.
A Roma il problema è Roma stessa.
Ma non vi accorgete che sta collassando, sta città?
Che non c'è un servizio, un agevolazione, che siamo pecoroni che la mattina, testa bassa come la voce e via. A lavoro.
Non vedo un sorriso per strada da quando abbiamo vinto i Mondiali.
Non so di una coppia felice dal matrimonio di Totti e Ilary.
L'ultima manifestazione pacifica è stato il funerale di Alberto Sordi.
L'ultimo incontro tra un ricco ed un povero, è stata la rapina a Bulgari a Via Condotti.
Roma sta morendo. Si sta svuotando.
La mia, la tua, la nostra città, sta finendo, un altro impero sul viale del tramonto.
Quando faranno capitale Bergamo, allora ci ricorderemo qualcosa.

mblela?

mercoledì 19 ottobre 2011

Mercoledì

[quali buoni lettori ed attenti osservatori di titoli legati l'uno all'altro, noterete il subdolo ingegno che metto nel dare un titolo a questo post che è settimanalmente legato al precedente, ma giornalmente indipendente. il che vi porterà, se non l'avete fatto, a leggere Sabato prima di questo. incoerentemente e CettoLaQualunquemente vostro.]

Da Sabato son passati quattro giorni, ed in queste novantasei ore circa ho pensato, mangiato, sognato, bevuto, bevuto troppo, telefonato, letto, curiosato, aspettato ed immaginato. Non in quest'ordine, cronologico o d'importanza. Ma l'ho fatto.
E gira che ti rigira, ancora non capisco cosa sia successo, Sabato. O, meglio, lo so.
E non mi piace.
Ho letto un post bellissimo, che vi rigiro dopo che mi è stato rigirato dopo un altro giro (fico, 'sto Internet): eccolo.
Questo, più della lettera dei tizi (ormai non si chiamano più in nessun modo, tanto meno come li ha chiamati Maroni, "terroristi urbani". sembrano degli spazzini, tipo "operatori ecologici").
Questo, più di quello che si è letto questi giorni, e che se non sai dove andare a parare fin quando non spegni tutto e rifletti per te.
Punto primo: le gente, Sabato, era incazzata. Ma incazzata nera. Ci si divertiva, si cantava e tutto bello-tutti bravi. Ma si era lì per indignarsi, in italiano, non a escandalizarce, o come cazzo si scriverebbe. Che cazzo. Non lo so lo spagnolo, e sono italiano. I bambini africani che muoiono di fame mentre noi c'ingozziamo di carne guasta non li chiamiamo con termini africani ma, se siamo in vena di solidarietà, "poracci".
Comunque, il punto uno per dirvi che si, si era tranquilli, ma per portar per strada i vecchi, o fai dei lavori o fai incazzare un paese intero.
Punto due: l'ho detto fin dal dopo manifestazione. Vuoi spaccare le vetrine, dar fuoco ai cassonetti, calciare un chihuahua quando finisci i sassi e saccheggiare un sexy shop per masochisti? Benissimo, sei il benvenuto. Ti copro io, davvero. Ma lascia almeno in pace gente che vorrebbe pure, ma o si caga sotto o, semplicemente, nun je regge la pompa. Io, personalmente, rientro in entrambe le categorie, ma ciò non vuol dire che sarò sempre in disaccordo. Ognuno ha le sue ragioni, che posso appoggiare.
Non potete pretendere però che ognuno possa unirsi a voi. C'è chi vuole manifestare portando un innocuo cartello, e chi tentando di infilarlo nel culo di un poliziotto.
E questo ci porta al terzo punto: le guardie. Ora, da dieci anni a questa parte, nel mio ruolo di attivista virtuale (l'ultima volta che son sceso in piazza, in difesa della Costituzione: il soggetto più pericoloso era una signora accanto a me, che ha addirittura detto "cazzo", ad un certo punto), dicevo, nel mio ruolo di attivista da soggiorno, quasi fossi un soprammobile, ho sempre disprezzato il ruolo della guardia. Guardia intesa come Giuliani, come Cucchi, ma anche come "documenti-prego-dove-andiamo-può-scendere-dal-mezzo-svuoti-le-tasche-questo-cos'è-cosa-sono-queste-cartacce-in-che-senso-le-mette-in-tasca-per-non-inquinare-ma-che-cazzo-di-vizio-è-?", e vi dicendo. Le ho odiate, mentre le vedevo picchiare indiscriminatamente a Genova, le ho derise, quando rimanevano incastrate nelle camionette in fiamme a Dicembre scorso. In questi giorni, però, ho provato a capirle.
Per mio stesso vissuto, posso dire che quello che gira in questi giorni è vero. Quando mi hanno fermato, dopo la scenata e così via, c'è stato un forte momento di tensione: la radio ha gracchiato qualcosa, alcuni dei poliziotti si sono rimessi il casco (anche quelli in borghese che mi avevano fermato, subito dopo aver messo me e l'altro ragazzo al sicuro). Eravamo spalle al muro, e tutti i poliziotti si sono spostati alla nostra destra, alla fine di un vicolo che dall'altra parte  dava su Via Cavour. E mentre ero lì, ho visto che persone, pronte a fare il loro lavoro. Ma nessuno gli ha detto di farlo.
È come se tu lavorassi in un magazzino, stai facendo retromarcia col camion per entrare ed il tuo capo ti dice "vai vai vai!!" e poi sbèm, camion crepato. Il tuo capo fa il vago, i clienti della merce arrivata tardi se la prendono con te.
Li ho visti, che avrebbero voluto intervenire su quei dieci bastardi che picchiavano quel signore, ma non avevano l'ordine. Certo, potevano far subentrare l'istinto. Ma cosa sarebbe successo, se fossero intervenuti? Che io sappia, l'insubordinazione è un reato grave, anche se fatto per il bene. E, brutto dirlo, ma probabilmente la guardia molti di loro è l'unico lavoro che sanno fare.


Due cose, ultime, da aggiungere al punto tre: gli stronzi ci stanno, lì in mezzo. I cattivi, i subdoli, gli ignoranti. Ma come ci sono in call center, agenzie di viaggio, uffici statali e non, in cantieri ed in studi legali. Le guardi marce, sono solo più marce perché si coprono con la divisa. E vengono premiati.
Più premiati, sicuramente, di quelli come questo poliziotto, che se cercate il video che non mi ricordo più perché ne ho visti troppi, in 'ste novantasei ore, in cui parla. Dialoga. Spiega.

WTF?

Sapete quel'è la vera differenza, tra Genova e Dicembre scorso rispetto a Sabato?
Le guardie, stavolta, sono uscite allo scoperto. Hanno parlato, tramite i sindacalisti operativi sul campo (non come alti che conosco io, ma son storie vecchie), in questo bel video.
Loro erano a volto scoperto.
Loro.

Dai cazzo.

lunedì 17 ottobre 2011

Sabato

Io in mezzo alla gente, Sabato 15 Ottobre, c'ero.
Alla fine della giornata, non ho riportato ferite fisiche, ma per come sono io qualche segno in testa m'è rimasto.
Nonostante sia riuscito a manifestare poco, volevo lasciare la mia traccia, forse anche per me, per tirar via tutto ed avercelo pronto all'evenienza, in futuro.
Questo è solo un racconto di quello che ho visto.
Poche considerazioni, anche se ne ho piena la testa.
Probabilmente sarà una cosa lunga, quindi mettetevi l'anima in pace.



Era partito tutto bene: ero contento di avere gli amici di una vita lì con me, di sapere che anche mio padre era tra noi.
Ero contento quando la gente mi fermava per fare la foto al mio cartello, tanto che con la spinta degli altri lo innalzavo e lo facevo vedere, e già mi sentivo in imbarazzo.
Ma nonostante questo lo esponevo agli obiettivi, contento di essere portatore di un po' di buonumore.

Sto uscendo dalla metro di Repubblica, mi chiama un mio amico. È già con la ragazza, oltre la metà di Via Cavour. Mi avvisa che appena un secondo prima un gruppo di persone, incappucciate, col casco ed i volti coperti, aveva attraversato il corteo di netto, cominciando a spaccare le vetrine dei bancomat e a dar fuoco ai cassonetti. Mi consiglia di saltare l'inizio del corteo e di andare direttamente ai fori, dove la situazione sembra molto più tranquilla. Lo rassicuro, attacco il telefono. Ma con gli altri decidiamo comunque di proseguire dall'inizio.

C'erano tanti ragazzi, ma sembravano ancora di più le persone più grandi, le donne, i pensionati. I loro volti sereni, con solo tanta rabbia che sfogavano con canti, urla, danze.
C'erano le immancabili bande musicali delle associazioni, i venditori di fischietti, i giocolieri.
Insomma, c'era una marea di gente, e si stava di un gran bene.
Decidiamo di smettere di camminare sulle vie laterali: mi faccio porta cartello, e guido il piccolo manipolo di deficienti al centro della via, in uno spazio che si era creato tra il cordone principale.

Mentre ci stringiamo un po', visto che un mezzo dei vigili del fuoco è legato col nastro rosso-bianco al muro, per isolare i vetri di una banca a terra, nell'esatto momento in cui la folla si stringe un po', da davanti parte una piccola carica. L'umore cambia in zero: i sorrisi lasciano spazio alle urla, gli occhi grandi di allegria a quelli ancor più grandi del panico, la camminata lenta a una retromarcia brusca.
È questione di un attimo, non vedo neanche se son stati i poliziotti. Poi arriva il l'esplosione di una bomba carta: indietreggiando, molti di noi si trovano in un vicolo, mentre mi giro capisco che c'è qualcosa che non va. In fondo ci sono tre camionette, che ci sbarrano l'uscita dal vicolo.






Ma c'è il tempo di capire che la carica è passata, possiamo rientrare. Di nuovo, all'improvviso, il tempo per capire non ce l'abbiamo: mentre rientriamo su Via Cavour, da direzione Termini arrivano a scendere una ventina di persone, tutte vestite di nero. E succede quello che vedete nei primi ventidue secondi di questo video, più un altro minuto prima che non è stato ripreso:




Mi ritrovo nel vicolo, di nuovo, stavolta al chiuso: dietro le camionette, davanti le teste di cazzo.
E qui partono una serie di scene che, se non l'avessi viste con i miei occhi, stenterei a crederci:
i neri cominciano a scendere le scale, stringendo me ed un'altra sessantina di persone con le spalle contro i mezzi della polizia;
una ragazza strilla ad un poliziotto che si affaccia tra l'angolo del palazzo ed il muso di una camionetta, di spostarne una, per farci uscire, che questi ci ammazzano. Di risposta, un "Che cazzo vuoi che facciamo, porca madonna!!", urlato con tanto di manganello agitato;
i neri scendono ancora una rampa, qualcuno di loro si toglie la sciarpa da davanti la faccia per urlare e spaventare ancora di più. Hanno tra i venticinque ed i quarant'anni, agitano i bastoni. Noi gli gridiamo di andare via, loro avanzano;
la gente comincia ad arrampicarsi su un motorino rosa:




un piede sul sellino, uno sulla sfera di ferro dei pali e su, sul tetto della camionetta. Altri, invece, dal punto esatto in cui ho scattato questa foto, si fanno leva su un vaso e passano attraverso lo spazio tra i due cellulari. Dall'altra, parte, per fortuna, i poliziotti porgono mani per aiutare le persone.
Qui si raggiunge l'apice della tensione: le persone su Via Cavour, senza volerlo, stanno impedendo ai neri di uscire dal vicolo. Così come ci sono stai spinti, ora non sanno come andarsene. E per un attimo non sanno che fare: per un attimo sembrano volerci montare sopra, poi capiscono che dopo di noi ci sono i poliziotti. Quindi tentano di risalire, ma un signore, nonostante l'età, li blocca. Supportato da altri manifestanti "normali", ne placca uno e lo butta a terra. Il branco si avventa sull'uomo, alzando e facendo cadere i bastoni.
Io, da un paio di minuti, sto aiutando signore, genitori con bambini e ragazze in preda al panico ad scavalcare quel vaso, che per tutti, presi dall'agitazione, è una montagna. Quando vedo l'uomo venire picchiato, alzo lo sguardo verso un poliziotto, in piedi sul tetto della camionetta.
Gli grido di fare qualcosa, di spaccargli le gambe, di intervenire.
Il suo sguardo è vuoto, si gira guardando in basso verso i colleghi, in cerca di un appoggio.
Niente.
I neri si placano, svicolano dalle persone che vorrebbero bloccarli e si dileguano.
Nel mentre, però, scavalco io.
E il tizio che coordina il plotone fa fermare me, ed un altro ragazzo.


Ora, io in una situazione così non mi ci son mai trovato. Tutto quello che so, su quando ti fermano le guardie, si chiama caso Cucchi, Aldrovandi, Uva, e così via.
Non un quadro proprio rassicurante.
Quando poi, mentre un tizio in borghese ma con casco e manganello, ti tiene il braccio inchiodandoti di fatto in mezza ad una cinquantina di poliziotti in tenuta antisommossa, il quadro è proprio storto.
Diciamo solo che ho sperato di svenire alla prima manganellata.
Invece, dopo la solita scenata ("te stavi a menà..", "t'ho visto che stavi a picchià.."), un controllo dello zaino e troppo tempo per controllare che non avevamo precedenti, devo dire che un lato umano, piccolo eh, l'ho visto.
Perché c'erano persone, sotto quei caschi. Persone che aspettavano ordini, erano pronti per sparare lacrimogeni, ad intervenire contro i neri. Ma quell'ordine, almeno per il tempo in cui sono stato vicino a loro, non è arrivato. Ci hanno fatto spostare ("se stannò a avvicinà, occhio!!"), si son preparati. Ma nessuno gli ha detto di avanzare un solo passo.

Per questo il poliziotto che strillava alla ragazza bestemmiava, ed ecco spiegato il perché dell'immobilità di quello in piedi sulla camionetta: aspettavano. Io ci ho visto che sarebbe intervenuti volentieri, ma niente. Il vuoto.

A me spiace solo per una festa rovinata, per un inizio di cui nemmeno abbiam visto la fine.
Non voglio mollare, non mi va. Ce ne stanno combinando di tutti i colori, ma noi dobbiamo essere daltonici.
Io ci credo ancora.

A breve, forse ma spero di no, altre considerazioni.

venerdì 14 ottobre 2011

lunedì 10 ottobre 2011

Amanda(tetuttiaffanculo)



[Questo l'ho scritto qualche giorno fa. La chiusura sarà valida almeno fino a Sabato, giornata di manifestazione e concerto. Se ci saranno notizie importanti, bene. Sennò si vedrà.]

Amanda Knox è libera, può tornare ad abbracciare i piloti del Cermis, l'assassino di Calipari ed il pagliaccio di MacDonald's.

La Lega protesta per la convocazione di Osvaldo in Nazionale, ma non considerano che parla meglio lui del Trota (il Trota, soprannome affibbiatogli dal padre. Se mio padre cominciasse a chiamarmi Merluzzo, tanto da diffonderlo tra i miei amici, aspetterei che si addormentasse). Il bell'Osvaldo, detto "er Cipolla", scopa comunque meno del Trota. Fatevi due conti.

Moody's ci declassa ad A2 con outlook negativo. In effetti la posta su Windows fa cagare.
Tra poco saremo declassati ad "AAA: affittasi paese con tanta storia quanti debiti, da ristrutturare, con sessanta milioni di coglioni all'interno, pochi e scarsi servizi, un'opposizione che si oppone a se stessa e con Flavio Briatore incluso". Già m'immagino la risposta della Germania: "Essen ruhig".

Trovata morta la ragazza americana scomparsa: è stata investita. Dalla gioia della sua connazionale Amanda.

La Mondadori vuole che venga annullata la sentenza a favore della CIR di Di Benedetti per una frase tagliata. Quindi non pago se ti dico grandissima zocc

Solo trenta giorni per fare ricorsi alle multe. Per non pagarla, rimane la solita eternità.

E' uscito il nuovo iPhone: delusione per chi si aspettava il 5, ma potrete lamentarvi direttamente col 4S.

Nonciclopedia si scusa e Vasco Rossi ritira la querela. In un mondo perfetto, sarebbe successo il contrario.

Gli Indignati arrivano negli USA, direttamente dal tribunale di Perugia.

Tutti contro Tremonti. Non sapete i bernoccoli.

Si sposa la duchessa di Alba. Arrivata ormai al tramonto.

ZONA SERIA: Wiki si auto chiude, Nonciclopedia l'ha fatto, Repubblica continua ad elemosinare Post-It. Non conto un cazzo, e non sono una testata giornalistica. Ma visto che se scrivo -per assurdo- "Berlusconi ladro e puttaniere di merda", magari si offende e vuole una rettifica. Che arriverà sotto forma di "Vattelapjandèrculo". Quindi, più per solidarietà che per tornaconto personale, questo blog si autosospende fino a nuova data. Non piangete per me, sono già morto. Ma più che altro sparatela un po' in giro, vedi che lo fa pure qualcun altro.

A presto.

giovedì 6 ottobre 2011

Goodb iSteve



Fughiamo ogni polemica: Steve Jobs è stato uno che ha fatto i soldi, che ci stava seduto sopra ad una montagna di soldi, ad osservare altri soldi che entravano da bocchettoni fatti di soldi. Su questo non ci piove.
Ma i soldi non sono stati, almeno non sempre, l'obiettivo finale di Jobs.

Steve Jobs ha sempre avuto sogni. Non idee, non intuizioni, ma sogni. E ha fatto sempre di tutto per realizzarli, per vederli prender vita, per veder funzionare nel mondo vero quello che prima era davanti ai suoi soli occhi. Vi risparmio l'ormai nota (nota perché  perché è morto e Wiki ha riaperto, quindi parecchi saranno andati a leggere la sua bio) storia del garage, di Wozniak, dei soldi che finivano e di computer che non si vendevano. Voglio giusto dirvi quello che so, su Jobs, e condividerlo, magari per farvi vedere sotto un'altra luce quello che da molti è visto come "uno che ha fatto solo una bordata di soldi".

Jobs, ad esempio, ha creduto nel sogno di un certo Mark Zuckeberg, tanto da essere stato con la Apple, il primo a chiudere un contratto simbolico con il creatore di Facebook: ogni "Mi Piace" sulla pagina ufficiale della compagnia di Cupertino, avrebbe fatto guadagnare un dollaro al social network. Risultato? Un milione di dollari in zero.

Jobs è stato inculato ancora e ancora da Satana aka Bill Gates: vuoi per plagio, per concorrenza sleale, per imposta supremazia. Fatto sta che Gates, a livello di mercato, ha sempre dato in culo al povero Jobs. Ma lui non si è mai arreso, non si è mai fermato a piangere (come spesso, invece, ha fatto Gates negli ultimi anni). Jobs si è rialzato, sempre, è ha stravolto i suoi stessi sogni per averne di più grandi, di rari, di unici. Nel 1997, quando ancora ci facevamo rincoglionire da Windows '95 in attesa del '98 (uguale e peggiorato), la Apple mette sul mercato il primo iMac, il primo desktop computer "alli-in-one". Schermo con dentro lettore cd con dentro hard disk con dentro processore e così via. Un pezzo unico, in tutti i sensi. E mentre c'è ancora gente che aspetta la versione definitiva di Windows, il Mac OS (Tiger, Snow, Lion) ha subito evoluzioni su evoluzioni, creando si una cerchia che diventa sempre più "isolata", ma sempre più grande. E i pochi possono diventare i molti.
Proprio questa è stata forse la più grande mossa di Steve Jobs, e di conseguenza della Apple: cominciare un processo di pensiero "out of the box", di lasciare tra le mani dell'utente finale un prodotto suo e basta, che pur sapendo che sempre più persone ce l'hanno, quello è comunque, unicamente suo. Quando nel 2001 venne lanciato sul mercato il primo iPod, come per quasi tutti i precedenti prodotti (i primi Macintosh, la prima macchinetta fotografica digitale -1994!!-) il mercato reagì male: costoso, troppo unico nel suo genere, senza sbocchi immediati. Dieci anni dopo, l'iPod ha il 94% del mercato MONDIALE dei riproduttori musicali portatili. Ma tutt'ora, il mio iPod è il mio iPod. Nessuno ha le stesse canzoni che ho io, ne gli stessi graffi sulla scocca, ne le stesse cuffie rovinate.
La fortuna di Jobs, quella vera, quella che ti proietta nell'Olimpo della storia moderna, è arrivata negli ultimi 10 anni. Prima dell'iPod, la Apple era per pochi. Erano strani, diversi, "isolati". Su un Macintosh non potevi giocare (ed in pratica nemmeno ora, almeno in parte). Ma nel post iPod, vuoi all'inizio per mere ma fondamentali questioni di compatibilità, la famiglia si è allargata. Anche in Italia il mercato dei Mac è cresciuto in maniera esponenziale, soprattutto tra i giovani ed i professionisti, che sono il mercato base per la tecnologia. Ma pian piano chiunque ha avuto modo di conoscere il mondo Apple, risultato del genio puro di Jobs. A qualunque età, di qualunque estrazione sociale. Poi, può piacerti o no. Ma molto spesso ti piace.

Per chiudere e dare un finale a quello che potrebbe, e sta diventando, un cosiddetto pippone apocalittico, Jobs è stato un personaggio che passerà alla storia per aver cambiato il modo di avvicinarsi al futuro, a volte quasi superandolo. È caduto tante volte, tantissime, a volte in un modo che nessun'altro al mondo avrebbe mai trovato la forza di rialzarsi. Lui, però, l'ha fatto. E se lasciamo da parte, anche solo per un attimo, i soldi, l'immenso potere economico tale da sostenere in parte l'economia di uno stato, la fama, a volte anche l'arroganza, scopriamo che Steve Jobs ha fatto quello che ognuno di noi vorrebbe poter fare nella vita: è vissuto di sogni, ha basato ogni cosa sul sogno, spesso ci ha rimesso la faccia, per i suoi sogni. Ma li ha realizzati, uno dopo l'latro, con calma, costanza, impegno. A dispetto di tutto, e di tutti, lui ce l'ha fatta.

Ciao Steve, oggi è stata una brutta giornata. Come dicevo ad un mio amico oggi, non ti piango come una bimbaminchia a cui muore il cantante dei Tokio Hotel. Ti piango perché hai fatto, in un ambito in cui ormai vivo e baso il mio quotidiano, quello che per me Michael Jordan ha fatto per lo sport, I Red Hot per la musica e Koontz per la letteratura. Hai cambiato il mio concetto di tecnologia, condivisione, interesse per il mondo, uso del computer. Mi hai reso, e ne sono orgoglioso, un Nerd.
Non mi hai reso la vita migliori, ma più semplice, bella e colorata.

Mi mancherai.

martedì 4 ottobre 2011

Mi Piace Vivere In Italia



Mi piace vivere in Italia.
Ci sono nato, qui.
Ci sono cresciuto, e ci morirò.
In Italia ho tutto quello che mi serve: ho totale rispetto di tutte le leggi, per altro giustissime, le forze dello stato mi proteggono, ed ogni mio diritto di cittadino uguale agli altri mi viene pienamente riconosciuto.
Ho cinquantasei anni, faccio il barista da venticinque e la mia vita non potrebbe essere migliore: sono sposato, ho due bambine bellissimi e tra poco arriva il maschietto. Mia moglie mi ama, così come io amo lei.
Cosa posso chiedere di più?
Vi faccio un esempio, così forse capirete quanto si possa amare il proprio paese: la settimana scorsa sono andato a fare la visita per questa brutta tosse che ho, così a solo un anno e mezzo da quando l'ho richiesta sono andato al San Fazio, l'unico ospedale rimasto a Roma dopo la grande privatizzazione del 2026. Negli altri hanno costruito i primi casinò. Ogni tanto ci andiamo, io e mia moglie: tre mesi fa abbiamo vinto quasi diecimila euro, e finalmente ci sino potuti permettere quella cena fuori in che non riuscivamo a farci da anni.
Ma sto divagando.
Dicevo, mi hanno visitato, e mi hanno dato subito le analisi. Purtroppo mi hanno diagnosticato un tumore ai polmoni, ma non posso lamentarmi: i medici hanno detto che mi rimangono circa sei mesi di vita, e considerando che ormai l'età media è al massimo di cinquant'anni per tutti, posso ritenermi un privilegiato. Quasi mi stavo preoccupando.
Con mia moglie abbiamo già deciso di aspettare un po' per dirlo alle bambine, e se davvero resisterò sei mesi avrò anche la fortuna di veder nascere mio figlio, che abbiamo deciso di chiamare Silvio, come me.
In realtà non mi chiamavo Silvio, ma da quando c'è stato l'obbligo di cambio nome durante la guerra bancaria con la Svizzera, per confondere le transazioni a tutti gli uomini fu imposto di usare il nome di quello che era il Presidente della Repubblica in carica. All'inizio molti (non me) si erano lamentati, ma ormai ci avevano fatto l'abitudine, e soprattutto non volevano seguire l'iter per cambiare di nuovo nome. Ci volevano solo quattro anni, e la richiesta doveva essere correttamente compilata, dal riempimento del modulo alle prove pratiche: ad esempio, per due mesi consecutivi ma senza regolarità, chi aveva fatto richiesta veniva chiamato a gran voce per strada, per vedere se si sarebbe girato. Dicevano che non fosse facile non voltarsi quando al grido di "Silvio!!" si giravano praticamente tutti gli uomini per strada. Insomma, c'era chi si lamentava di questo. Ma il mio motto è: se davvero vuoi fare una cosa, falla. E non rompere le scatole.
Comunque, il mio tempo stringe, ma sono sereno. Mi godo anche le più piccole cose, che magari prima mi sfuggivano. Dovete sapere che ora, essendo malato di grado 7b, la mia assicurazione mi copre le aspirine, le fialette di morfina per l'aerosol e la possibilità di sospendere la cura obbligatoria di valium. Sarà per questo che mi sembra di avere un poco più di attenzione nelle cose, per esempio l'altro giorno mi figlia è rientrata dall'asilo con la sedia che si deve portare da casa ed è cosa difficile, perché mancano da quando i soldi vanno per la sicuramente più giusta causa dei sottobanchi condizionati delle scuole private e diventano merce rara per i bambini degli zingari, che per carità, tutto il rispetto, ma da quando sono liberi di entrare nelle nostre scuole non se ne può più. Per fortuna il Ministro della Fu Giustizia Renzo Bossi sta studiando una cura obbligatoria che impedisca loro di procreare. Speriamo bene.

Insomma, nonostante tutto, la mia vita scorre tranquilla: mi sento protetto, al sicuro, e già mi godo il momento in cui andrò a riposare accanto a mio padre e mia madre, nella fossa comune di Ostia Antica.
Ora torno a vedere un po' di televisione neurale, ho bisogno di distrarmi un po' con qualche dibattito apolitico tra il figlio di Bersani e  Bersani.
Buona notte.